Un collegamento apparentemente come tanti, un classico servizio da zona di conflitto, e poi il caos. Urla, clacson, tensione crescente e infine una rivelazione agghiacciante: l’inviata Rai Lucia Goracci e il suo operatore Ivo Bonato sono stati bloccati, accerchiati e minacciati da un colono armato in Cisgiordania. Tutto mentre l’Italia guardava in diretta.
Martedì 29 luglio, durante l’edizione delle 14:20 del TG Rai, milioni di italiani hanno assistito a una scena disturbante. La giornalista cercava di raccontare cosa stesse accadendo sul campo, ma un clacson insistente copriva ogni parola. Sembrava solo un disturbo tecnico. In realtà, era molto di più.
Goracci, pochi minuti dopo, ha raccontato tutto sui social: lei e il suo operatore erano appena usciti da un villaggio. Erano soli, senza protezione. Quando un colono israeliano li ha bloccati con il suo pickup, li ha fotografati e poi ha accelerato verso di loro. Nella fondina, visibile e minacciosa, portava una pistola.
Quello che doveva essere un reportage si è trasformato in un atto intimidatorio, documentato in diretta, ma trattato dai media italiani con una cautela quasi imbarazzante. Nessun approfondimento, nessuna domanda scomoda. Perché?
La verità è che Lucia Goracci non è una giornalista qualsiasi. È una delle poche inviate italiane a raccontare la realtà nei territori più pericolosi senza filtri e senza retorica. La sua voce è diventata, negli anni, un problema per chi vuole mostrare solo una faccia del conflitto.
Il dettaglio più inquietante? L’uomo armato ha cercato di impedirle di trasmettere. Non solo un’aggressione fisica, ma un attacco diretto alla libertà d’informazione, sotto gli occhi del pubblico italiano e dell’intera RAI. Eppure, nessun titolo di apertura. Nessuna reazione istituzionale. Nessuna nota ufficiale dal governo o dalla Farnesina.
Ci si chiede: se avesse premuto il grilletto, parleremmo oggi ancora di “disturbo audio”? Quante altre intimidazioni avvengono senza che nessuno abbia il coraggio di denunciarle?
Lucia Goracci lo ha fatto. Ma il suo grido – forte, lucido, documentato – sembra essere caduto nel vuoto. Il giornalismo italiano è pronto ad affrontare la realtà quando questa mette in discussione alleanze, poteri e narrative ufficiali?
O è più comodo abbassare il volume, nascondere la pistola dietro un clacson, e tornare a parlare di sport e gossip?
Questa volta, la verità ha rischiato di morire in diretta. Ma non è ancora troppo tardi per ascoltarla.