Brindisi. Una mattina di agosto che sembrava come tante, ma che si è trasformata in un incubo silenzioso all’interno della Questura. Sandra Manfrè, 35 anni, vice questore aggiunto e vicedirigente della squadra mobile, è stata trovata senza vita nel suo ufficio. Un colpo secco, partito dalla sua pistola d’ordinanza. Nessun biglietto, nessun preavviso. Solo uno sparo e il vuoto.
I colleghi, sconvolti, hanno immediatamente allertato il 118. Ma era già troppo tardi. I sanitari non hanno potuto fare altro che constatare la morte della giovane funzionaria. Sul posto è accorso anche il procuratore facente funzioni di Brindisi per dare il via alle prime indagini. Ma il silenzio è stato l’unico testimone.
Nessuno, tra i colleghi, amici o familiari, riesce a comprendere cosa abbia potuto spingere una donna stimata, madre di un bambino di tre anni, con una brillante carriera alle spalle, a compiere un gesto così estremo. O forse qualcuno lo sa, ma preferisce tacere.
Il gesto estremo di Sandra getta ombre inquietanti sull’ambiente lavorativo delle forze dell’ordine. Stress? Pressioni interne? Solitudine istituzionale? C’è chi parla di dinamiche interne alla Questura troppo spesso ignorate. C’è chi sussurra che quel silenzio, più che dolore, sia omertà. Ma nessuno ha ancora il coraggio di rompere il muro.
Una madre. Una moglie. Una servitrice dello Stato. Una tragedia che impone domande scomode, ma necessarie. Quanto pesa il dovere quando l’istituzione smette di ascoltare?