Sei diagnosi sbagliate, una giovane cieca a 30 anni: la sanità italiana condanna… ma chi paga davvero?

Sei volte. Ogni volta le dicono: “È solo una cefalea”. Oppure “Una gastrite, nulla di grave”. Ma dietro quei dolori c’era un mostro silenzioso: una trombosi cerebrale. Ignorata. Trascurata. Cancellata da referti superficiali e da una macchina sanitaria che, ancora una volta, ha fallito.

Solo una visita oculistica privata — sì, privata, fuori dal sistema pubblico — scopre l’orrore: la donna è in pericolo. Ma è troppo tardi. Ricoverata d’urgenza all’ospedale Le Scotte di Siena, entra in coma. Quando si risveglia, è cieca. Ha perso l’uso di parte del corpo. Ha perso il futuro.

E tutto questo perché? Perché sei medici non hanno saputo — o voluto — vedere oltre un protocollo. Sei errori che non sono solo clinici: sono umani, istituzionali, criminali.

Ora l’azienda sanitaria locale è stata condannata a risarcirla con 800.000 euro. Ma può davvero una cifra scritta su un assegno risarcire la vista perduta? La vita paralizzata? Le scelte, i sogni, gli amori… spezzati prima ancora di iniziare?

Questo non è un caso isolato. È l’ennesimo fallimento sistemico che grida giustizia in un Paese dove si parla di “eccellenza medica” ma si muore — o si resta ciechi — per diagnosi superficiali.

Il dramma di questa donna toscana è il dramma di tutti. Perché oggi è toccato a lei. Ma domani?

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