Con l’estate entrata nel vivo, tornano in prima pagina le assurdità balneari all’italiana, tra stabilimenti che si credono regni sovrani e famiglie trattate come clandestini… per aver osato portarsi il pranzo da casa. L’ultimo episodio, vergognoso quanto emblematico, arriva dal litorale casertano, al Villaggio Coppola.
Una madre con tre figli, tra cui una ragazza incinta, aveva preparato una semplice pasta all’insalata per godersi un pranzo in spiaggia sotto l’ombrellone. Tutto regolare: ingresso pagato, posto assegnato, nessun disturbo. Ma un addetto alla sicurezza li ha avvicinati con un ordine inaccettabile: “Buttate tutto nella spazzatura.”
Il motivo? Vietato consumare cibo portato da casa. La famiglia, pur di evitare ulteriori umiliazioni, si è vista costretta ad acquistare una pizza al bar del Lido. Prezzo? Il doppio. Soddisfazione? Zero.
A denunciare il fatto è stato, ancora una volta, il deputato Francesco Emilio Borrelli, che ha definito l’episodio un “abuso grave e inaccettabile.” Ma la vicenda non si ferma qui: la famiglia ha anche mostrato uno scontrino non fiscale e con data errata, che ora è sotto la lente della Guardia di Finanza.
Ma c’è di più. La legge italiana non vieta affatto il consumo di cibo portato da casa negli stabilimenti balneari. Le spiagge sono demanio pubblico. I gestori possono solo limitare l’uso di vetro o impedire comportamenti che minacciano l’igiene o la sicurezza. Non possono trasformarsi in ristoratori obbligatori. Non possono costringerti a buttare via il tuo cibo.
Eppure, ogni estate, queste storie si moltiplicano. E a pagarne il prezzo sono famiglie, turisti, studenti, e chiunque non possa permettersi €20 per una pizza e una bottiglietta d’acqua.
La verità è che stiamo normalizzando l’abuso. Una spiaggia che impone il menù del bar, che rovista tra i tuoi sacchetti, che ti vieta un panino, non è una spiaggia. È un ricatto.