Era gennaio agli Australian Open di Melbourne quando il mondo ha cominciato a notare qualcosa di strano. Jannik Sinner, il numero uno del tennis mondiale, nel pieno degli ottavi di finale contro Rune, ha improvvisamente rallentato. Movimenti incerti, tremore alle mani, un medical time out che ha fatto gelare il pubblico davanti agli schermi. È rientrato in campo con coraggio e ha portato a casa la vittoria, ma il dubbio era ormai seminato: cosa stava succedendo al corpo del campione?
Pochi mesi dopo, a Wimbledon, lo stesso copione contro Daniil Medvedev: 11 minuti fermo per giramenti di testa, poi la resa. A Sinsinnati, nella finale contro Carlos Alcaraz, il dramma si è ripetuto in forma ancora più evidente. In soli 23 minuti il campione è stato costretto ad alzare bandiera bianca. Sguardo perso, corpo che non rispondeva, servizio molle: l’immagine di un atleta improvvisamente fragile.
Le spiegazioni ufficiali parlano di virus. Ma il gossip sportivo e i retroscena aprono altre piste: un’intossicazione alimentare legata alla torta di compleanno del 16 agosto? I brindisi immortalati dai social? I pasticcini con panna offerti dai raccattapalle? Oppure la colpa è degli sbalzi di temperatura tra caldo e aria condizionata che minano la resistenza di un fisico già al limite?
Tre episodi ravvicinati che non possono più essere ignorati. Sinner resta un fenomeno, ma qualcuno insinua che la sua soglia del dolore sia molto più bassa rispetto a quella di Alcaraz. È fragilità o semplice lucidità nel preservarsi?
Il dibattito divide tifosi ed esperti: da un lato chi lo difende, dall’altro chi lo accusa di non avere la “tempra” del vero fuoriclasse. Ma una cosa è certa: dopo Melbourne, Wimbledon e Sinsinnati, il mito Sinner non sarà più guardato con gli stessi occhi.