Il basket italiano piange una delle sue icone più potenti. Marco Bonamico, 68 anni, si è spento all’ospedale Bellaria di Bologna, lasciando dietro di sé non solo numeri e trofei, ma una domanda scomoda: quanto era ancora presente nella memoria collettiva, prima che morisse?
Bonamico non era un semplice giocatore. Era il simbolo di un basket italiano che dominava le scene internazionali, che faceva vibrare palazzetti gremiti e accendeva sogni reali. Argento olimpico a Mosca nel 1980, trionfatore agli Europei del 1983, uomo da 201 centimetri con la potenza di un Marine e l’intelligenza di un leader. Eppure, negli ultimi anni, è sembrato svanire lentamente dai radar di un pubblico che oggi si commuove… ma ieri l’ha dimenticato.
Ha vestito le maglie più gloriose: Fortitudo, Siena, Milano, Forlì, Udine. Ma è con la Virtus Bologna che ha scritto storia vera. Due scudetti, stagioni leggendarie, e il rispetto eterno dei tifosi. Carisma naturale, leader in campo e negli spogliatoi. E quando ha smesso i panni dell’atleta, non ha mai davvero lasciato il parquet: opinionista RAI, presidente di Lega 2, sempre lì, sempre basket.
Ma oggi, tra fiumi di post celebrativi, in quanti erano davvero lì per lui negli ultimi anni? In quanti lo hanno cercato, ascoltato, ricordato prima che fosse troppo tardi? La sua morte non è solo la fine di un’epoca. È uno specchio amaro: celebriamo gli eroi solo quando non ci possono più sentire?
Bonamico non era nostalgia. Era ancora visione, presenza, passione pura. Ora il suo vuoto pesa come un canestro mancato all’ultimo secondo. E chi ama davvero questo sport dovrà chiedersi: quanto vale un eroe, quando non gioca più?