Un momento televisivo che ha gelato lo studio e infiammato il Paese. In diretta su Rete 4, Daniele Capezzone non ha semplicemente discusso di politica: ha puntato il dito, senza esitazioni, contro Romano Prodi. Niente sfumature, niente cortesie: “Il vero problema dell’Italia moderna ha un nome e un cognome: Romano Prodi.”
In pochi secondi, il dibattito è esploso. Il conduttore ha provato a spegnere le fiamme, ma la scintilla aveva già incendiato i social. C’è chi ha applaudito, gridando finalmente qualcuno dice la verità, e chi lo ha accusato di revisionismo storico e populismo mascherato.
Capezzone, ex radicale passato a Forza Italia e oggi voce pungente contro l’establishment progressista, ha demolito pezzo per pezzo l’immagine del “professore” venerato dalla sinistra moderata. Le accuse sono pesanti: aver svenduto i gioielli di Stato – Telecom, Eni, Enel, Autostrade – alle multinazionali; aver portato l’Italia nell’euro senza consultare i cittadini; aver costruito, con l’aiuto di media compiacenti, una narrazione salvifica dell’Unione Europea che avrebbe invece limitato la nostra sovranità.
Secondo Capezzone, dietro l’aura di competenza e moderazione si nasconde l’architetto della perdita di potere economico italiano e dell’indebolimento della classe media. Per i suoi detrattori, queste parole riducono anni di storia complessa a slogan facili, ignorando il ruolo di Prodi nell’integrare l’Italia in Europa.
Il silenzio di Prodi – nessuna replica, nessun comunicato – ha alimentato nuove domande: eleganza o strategia per non dare peso all’attacco? Capezzone, invece, ha rilanciato anche sui giornali: “Il culto di Prodi è il simbolo di un’Italia che non vuole fare i conti con i propri errori.”
Questa non è solo una lite tra due figure pubbliche. È un colpo diretto al cuore di un racconto politico che dura da decenni. E riporta in primo piano temi che bruciano ancora oggi: sovranità, euro, globalizzazione, privatizzazioni.
La domanda ora è semplice e tagliente: Prodi è stato il grande riformatore che ci hanno raccontato o il vero artefice di una crisi che stiamo ancora pagando?