Gli US Open hanno segnato un crocevia che ha diviso tifosi ed esperti: Jannik Sinner, nonostante due Slam vinti e quattro finali nello stesso anno, è riuscito a trasformare un trionfo storico in una ferita aperta. Si parla di una stagione irripetibile, ma la domanda che brucia è un’altra: come ha potuto fallire proprio sul cemento, la superficie che tutti consideravano il suo terreno di caccia? La finale persa contro Carlos Alcaraz a New York ha fatto emergere un dubbio velenoso: Sinner è davvero pronto a dominare o resterà prigioniero della sua prevedibilità?
Per molti il 2025 è stato l’anno della consacrazione: Australian Open e Wimbledon in bacheca, Roland Garros e US Open sfiorati per centimetri. Un ruolino che lo mette nello stesso club esclusivo di Rod Laver, Federer e Djokovic. Eppure, quel “sono stato troppo leggibile” pronunciato dopo la finale di Flushing Meadows non è solo autocritica, ma la confessione più pericolosa: l’Italia ha celebrato un campione che ammette di non saper sorprendere.
La sospensione per il caso Clost avrebbe potuto distruggerne la stagione, e invece Sinner è tornato più forte. Ma proprio questa resilienza rende ancora più inspiegabile la resa contro Alcaraz, il rivale che ormai sembra scritto nel suo destino. Tre finali su quattro Slam li hanno visti uno contro l’altro, e la sensazione è che senza un cambio radicale l’azzurro rischi di restare “secondo” nel duello del decennio.
Il 2025 non è stato solo conferma, ma anche un enorme campanello d’allarme. Non basta più vincere, bisogna spiazzare. E quando sei tu stesso a dire che sei prevedibile, il pubblico inizia a chiedersi: fino a che punto ci siamo illusi?