Stefano De Martino non è mai stato così fragile agli occhi dell’opinione pubblica. Il conduttore amatissimo, simbolo di intrattenimento e leggerezza televisiva, oggi si ritrova catapultato in uno dei casi più scabrosi che l’Italia ricordi: la violazione brutale della sua privacy. Non un gossip, non un paparazzo troppo invadente, ma un vero atto criminale. Hacker, telecamere bucate, immagini intime trafugate e diffuse senza pietà fino a diventare catene virali sulle chat di mezza Italia.
Uno scandalo che squarcia la sua vita privata e rischia di compromettere una carriera costruita con anni di lavoro. Ma Stefano non si è piegato. Affiancato dagli avvocati Pisani, ha presentato denunce sia alla Polizia di Porto Cervo sia alla Procura di Roma, puntando il dito non solo contro chi ha violato i sistemi informatici, ma anche contro chi condivide, commenta o ridicolizza quei contenuti. Il messaggio è durissimo: non esistono più zone grigie, un semplice “inoltra” può trasformarsi in un reato.
Eppure, dentro questa tragedia digitale, c’è un gesto che divide l’opinione pubblica. Stefano ha annunciato che gli eventuali risarcimenti non resteranno a lui e alla compagna, ma saranno destinati a progetti sociali contro il cyberbullismo. Per alcuni è un atto di responsabilità enorme, per altri una mossa calcolata per ripulire l’immagine. Il risultato? Una polarizzazione feroce: chi lo applaude come esempio, chi lo accusa di strumentalizzare la disgrazia.
Mentre Carola Entronelli, la fidanzata, resta in silenzio dignitoso, la rete continua a bruciare. E la vicenda di Stefano diventa simbolo di un’epoca in cui la curiosità è capace di trasformarsi in violenza, e un click può distruggere una vita. Oggi la sua battaglia legale è molto più di un affare privato: è un test nazionale sulla tenuta della legge contro il revenge porn, e forse un monito per tutti. La domanda, però, resta bruciante: quanti altri dovranno cadere prima che la società capisca che la privacy non è un lusso, ma un diritto?