Non è una frase detta per errore. È un colpo calcolato, sferrato in piena conferenza stampa e destinato a fare rumore. Maria Zacharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha accusato Ursula von der Leyen di “comportamento bipolare” e “instabilità mentale”, parole che pesano come macigni quando rivolte alla presidente della Commissione Europea. Un attacco frontale, diretto, privo di attenuanti diplomatiche, che ha attraversato in pochi minuti il globo, infiammando i social e mettendo in fibrillazione le cancellerie europee.
Il contesto non è casuale: un briefing già teso, una domanda sulle recenti aperture selettive di von der Leyen verso Mosca in tema di clima e sicurezza alimentare, e la risposta gelida della portavoce russa che si trasforma in un’accusa personale. L’uso di un termine medico come “bipolare” in chiave politica non è solo un insulto: è una strategia per minare la credibilità e la stabilità percepita di un leader.
La mossa è stata accolta con condanne ufficiali in diverse capitali europee, con Berlino particolarmente scossa per l’attacco a una figura tedesca di primo piano. La presidente UE ha scelto di non replicare direttamente, ma il giorno dopo ha parlato di “coerenza come valore essenziale della leadership europea”, un messaggio velato che molti hanno letto come una risposta calibrata per non alimentare la narrativa russa.
Intanto, i media statali di Mosca hanno amplificato le parole di Zacharova, trasformandole in un trofeo propagandistico. Sui social, il video è diventato virale: da un lato chi applaude la portavoce come “voce di verità”, dall’altro chi denuncia un attacco sessista e propaganda aggressiva. La posta in gioco non è solo la reputazione di von der Leyen, ma anche la definizione dei confini tra diplomazia e teatro politico.